venerdì 29 aprile 2011

ANARCHICINI: GIOVANNI ROSSI (1856-1943) E LA COLONIA CECILIA (1891-1893)


GIOVANNI ROSSI , soprannominato  Cardias (1856-1943) aveva aderito al socialismo a 17 anni schierandosi poi sempre più  per la tendenza antiautoritaria.  Diventato medico veterinario fondò a Cittadella nel 1888 in provincia di Cremona una autonoma colonia agricola, cui aderirono  trenta capi-famiglia, socialisti e non socialisti.  Questo esperimento si sciolse nel 1890  per il persistere , secondo Rossi,  di un certo “egoismo gretto e miope” e “di pregiudizi religiosi e sociali” dei contadini.   Poco tempo dopo Rossi riuscì ad ottenere la concessione di una vasta tenuta nella provincia del Paranà in Brasile, che venne chiamata Colonia Cecilia , dal nome di una protagonista femminile di un romanzo di Giovanni Rossi. Nonostante le critiche di Malatesta che vide questa impresa come una diserzione dalla lotta rivoluzionaria, Giovanni Rossi  e un piccolo numero di compagni, tra cui una sola donna ,si trasferirono nella colonia. ( cfr. canzone da commentare)
Canzone da  commentare:  “ LA COLONIA CECILIA:  L’eco delle foreste /  dalla città insorte al nostro grido / or di vendetta, sì, ora di morte, / liberiamoci dal nemico. / E all’erta compagni dall’animo forte / più non ci turbino il dolore e la morte, / all’erta compagni formiamo l’unione, / evviva evviva la rivoluzione.  /Ti lascio Italia terra di ladri/ co’ miei compagni vado in esilio / e tutti uniti a lavorare / formeremo la colonia sociale. / E tu borghese ne paghi il fio / tutto precipita, re, patria e Dio / e l’anarchia forte e gloriosa / e vittoriosa trionferà. / Sì, ,  trionferà la nostra causa / e noi godremo dei diritti sociali , / saremo liberi, saremo eguali, / la nostra fede trionferà”
Discografia: in Antologia della canzone anarchica italiana (dischi del sole)“ Quella sera a Milano era caldo..”  (2) p. 1 e a p. 5 vi è una versione  con alcune varianti, tra cui le parole iniziali : “Amici, compagni / all’erta stiam, /derisi sfruttati. / Eccoci qua. "
 Gli inizi furono promettenti e nel 1891 la  popolazione della colonia aveva già raggiunto le 150 persone (tra cui sempre più donne, anche se sempre inferiori di numero a quello dei maschi). Nel 1893 la Colonia si sciolse per alcuni motivi sia di ordine economico ( miseria,  carenza dei mezzi di sussistenza, ecc.) sanitario ( disastrose condizioni igieniste), che  socio-psicologico-etico, (ostilità del clero e della vicina comunità polacca cattolica, del governo ecc.)  (cfr. primo brano) ma tale scioglimento non fu inteso da Giovanni Rossi come un fallimento. (cfr. secondo brano)
Brano da commentare:  1) "Il nostro piccolo mondo anarchico era troppo piccolo e quindi troppo povero per assicurarci  il pane bianco, la bottiglia di vino, il posto a teatro, il letto soffice, la compagna da amare; contrariamente alla retorica dei poeti, abbiamo preferito le rose della schiavitù alle spine della libertà " (Giovanni Rossi, Utopie und Experiment, gennaio 1896); 2)…”Alcuni hanno creduto che noi siamo venuti qui a fabbricare il campione, lo specimen della società futura, per presentarlo poi, brevettato o no, all’ umanità, onde all’indomani della rivoluzione sociale non avesse altro fastidio che ordinarne la fabbricazione all’ingrosso.  […] Ma noi non siamo venuti a fabbricare il puerile specimen.  Altri hanno supposto che noi volessimo mostrare anticipatamente la magnificenza dell’avvenire sociale, […] Ma noi non siamo venuti a sperimentare l’anarchia, né a tentare la miniatura della nuova società. […] Il movimento socialista moderno contrappone allo  stato l’anarchia, ma il proletariato conservatore risponde che l’uomo non saprebbe vivere onestamente se la legge non incombesse sopra di lui come una permanente ingiunzione, come un’ eterna minaccia. Da ciò la convenienza per la propaganda di cercare sperimentalmente come gli uomini convivrebbero, sulla semplice scorta di liberi patti. Ecco dunque che il nostro proposito non è stato l’esperimentazione utopistica di un’ ideale, ma lo studio sperimentale – e per quanto ci fosse possibile rigorosamente scientifico – delle attitudini umane in relazione a quei problemi. […] Gli abitanti della Cecilia hanno vissuto liberi da ogni legge e da ogni autorità. […] L’esperimento della Cecilia ha durato ormai tre anni, e in quanti vi hanno a lungo partecipato, ha costituito una forte  convinzione che il comunismo e l’anarchia sono oggi praticabili in tutta la vecchia società borghese.  […] E’ falsa la propaganda che tende a mostrare il nuovo mondo sociale puro da ogni attrito maligno. Non seminiamo illusioni se non vogliamo raccogliere disinganni.  Dalla pratica della nuova vita, che necessariamente e involontariamente chiamerà in esercizio le qualità socievoli degli uomini, è probabile  che si sviluppi, per effetto di questo esercizio, una morale correlativa a questo schema materiale di vita. Il disfacimento progressivo e spontaneo della famiglia monogamica prepara il terreno  al trionfo dei nostri ideali. “
Bibliografia :in Cittadella e Cecilia. Due esperimenti di colonia agricola socialista.  Brescia , maggio 1886, ristampato (se ho capito bene) da A rivista anarchica nel   1976 p. 8 82, 83, 84.
                                                                                       
Giovanni Rossi (Cardias)  riteneva, infatti,  che ostacolo primario per una vita comunitaria fosse l’istituto familiare monogamico   tradizionale “ricettacolo di egoismo, invidie e gelosie”.  Per ovviare ad esso egli stesso dette nella comunità  esempio di libero amore stabilendo un rapporto a tre tra lui e  due pionieri arrivati nella colonia nel 1892: Elèda (non Elide), una giovane operaia politicizzata di trentatrè anni   e il suo compagno  Annibale. Di questa relazione a tre  Giovanni Rossi (Cardias) farà un dettagliato resoconto che sarà poi pubblicato col titolo Un episodio d’amore nella Colonia Cecilia. 

Brano da commentare:  …”-  [Rossi)] Senta, Eléda – le dissi una sera nella sua casetta – Lei è una  donnina seria, e si deve parlarle senza artefici.  Mi guardò e comprese. –  [Rossi] Perché non vorrebbe bene un pochino anche a me- -  [Eléda] Perché temo di far troppo dispiacere ad Annibale. –  [Rossi]Gliene parli . Ci separammo senza un bacio. – Eléda parlò ad Annibale, come una compagna affettuosa, ma libera e sincera, deve parlare al compagno che ama e che stima. Annibale come un uomo che sopra alle sua passioni pone lo scrupoloso rispetto per la libertà della donna. – Soffre –  mi disse Eléda.  [Rossi] Si poteva prevedere – risposi . Ma credi che soffra in lui la parte migliore o quella peggiore del cuore ? Questo dolore è umano, è socialistico, è indistruttibile? E’ il dolore del pugnale che uccide o è quello del coltello chirurgico che guarisce ? -  E’ questo che bisogna sapere – mi rispose Eléda. E ci lasciammo ancora senza un bacio. E Annibale stesso lo disse ad Eléda e a me. – [Annibale]  E’ il pregiudizio, è l’ abitudine, è un po’ di egoismo, è quello che volete; ma la libertà deve precedere su tutto e innanzitutto. Amo Eléda, e non v’è ragione perché non debba amarla più. Soffrirò, ma sarà un bene. Tu vivi triste, senza amore. Eléda farà bene a confortare la tua vita. – [ Rossi] Hai del risentimento per Eléda  o per me?  - [Annibale] Niente affatto. Quel giorno  Eléda ed io ci scambiammo il primo bacio. Quella notte Eléda venne nella mia casetta e Annibale pianse nella tristezza dell’isolamento  … "( Cardias [ Rossi] Un episodio d’amore nella colonna  “Cecilia” ) 
  Bibliografia :in Cittadella e Cecilia. Due esperimenti di colonia agricola socialista, opera citata pp. 85-86
Rossi propose poi,  tanto più si prolungava tale "triangolo amoroso"   ai due patners dei questionari  al fine di coglierne, per motivi, da lui definiti “scientifici”, tutte le sfumature inerenti  a questo primo episodio di   “ amplesso amoroso”  o meglio di “bacio amorfista” termini che lui preferiva a quello di “amore libero” . Faccio  brevi esempi  del contenuto  di queste domande  fatte da Rossi ad Annibale, ad Eléda . Tale indagine si concluse infine con un'analisi introspettiva di Giovanni Rossi su se stesso .  (cfr. brani da commentare)
Brani da commentare : 1)  …..”  [ ROSSI  ad ANNIBALE] Quando l’ Eléda ti raccontò la mia domanda, sentisti dolore ?  - [Annibale] No -  Sorpresa?  No, perché l’avevo già manifestato in Italia e c’ero già preparato .- Sdegno?  No, mai . – Umiliazione? No . – Risentimento verso di me ?  Non risentimento, ma compassione per te. – Fu vanità offesa ? No. – Istinto di proprietà ferito?  Non pensai mai di essere proprietario dellìEléda; ciò sarebbe un affronto per lei. - Egoismo o desiderio di bene esclusivo? Non egoismo, ma piuttosto paura che diminuisca il suo affetto per me. – Timore di ridicolo? Un pochino – Fu spontaneo il tuo consenso ? Assolutamente   .  - Fu, per coerenza  ai principi di libertà? Un po’ per compassione di vederti soffrire, ed anche per coerenza. -  Fu per pietà di me, che da tanto tempo vivevo senza amore? Risposi già.  - Se si fosse trattato di un altro compagno, supponi che avresti provato le stesse sensazioni? Non potrei precisarlo; ma , se  sì, avrei sofferto maggiormente .  - Se si fosse trattato di un proletario, non compagno nostro?  Idem. – Di un borghese? Avrei compianto l’Eléda e sofferto molto, senza potere affermare se  l’avrei lasciata  -----   2) [ROSSI AD ELEDA] Venisti a me con coscienza sicura  ? [ Eléda] – Accrebbi io di un pochino la felicità della tua vita?  Mi ami sessualmente? Intellettualmente? Per cuore ?  Un pochino in tutti e tre i modi? Sì , in tutti e tre i modi. – Dal primo giorno, mi ami un pochino di più? Assai di più. – Ami Annibale di più? Sì . – Questi due affetti contemporanei ti hanno reso più buona? Sì. Più sensuale? No – La contemporanea molteplicità degli affetti, quella che noi chiamiamo libero amore, ti sembra naturale? Sì. Socialmente utile? Più che tutto , socialmente utile. -ti dispiacerebbe non conoscere la paternità di un figlio Che tu  avesse ora a generare? No. 3) [ Rossi riflettendo sul suo comportamento e i suoi sentimenti]   "Dunque, voglio bene a Eléda: le voglio bene in modo soggettivo e oggettivo, cioè le voglio bene per  me e per lei. [….] Sono amori soggettivi: non vogliamo bene , “ ma ci vogliamo bene” vogliamo bene a noi stessi. Voglio bene, oltre cha a me, anche ad Eléda , e desidero perciò che  trovi in questo mondo – giacché all’altro abbiamo rinunciato – tutti quei fugaci  momenti di felicità e tutti quei giorni sereni, che è possibile trovare. […]. Amo Annibale perché so che Eléda le è profondamente affezionata ed è lieta dell’ amor suo. [….] Ecco perché sono lieto ora, che tra Annibale, Eléda ed io c’è una perfetta equazione di affetti, e le premure dell’uno, o per l’uno, non turbano la serenità dell’altro. […] Come dal pensiero degli altri prendo gli elementi che insieme alle mie proprie osservazioni finiscono col costituire le mie idee, così dalla coscienza degli altri prendo buona parte di ciò che costituisce i miei sentimenti. Ma per i miei sentimenti e per le mie idee, né pavento il biasimo, né bramo la lode degli altri. Quando posso constatare in me stesso che sentimenti ed idee si corrispondono perfettamente, la mia coscienza vive modestamente sicura, dovesse anche essere contro la coscienza di tutta l’umanità. Con questa sicurezza, chiamatela pure ingenua sicurezza, confido al pubblico ipocrita e bigotto le mie confessioni. ( Cardias [ Rossi] Un episodio d’amore nella colonna  “Cecilia” , Brescia, maggio 1886
 Bibliografia :in Cittadella e Cecilia. Due esperimenti di colonia agricola socialista.  , opera citata pp.  86-87, 88
Anche la condizione  complessiva delle donne  che parteciparono  all’  esperimento della  Colonia Cecilia   fu dettagliatamente descritta da Giovanni Rossi (cfr. primo brano) in diretta connessione con la "pratica dell' "amore libero" inteso come antitesi dell ' egoismo di famiglia"(cfr. secondo brano)
Brani da commentare:  1) “ … Uscendo di casa, ciascuno si reca al suo lavoro,  e intanto le donne preparano la colazione nella cucina comune. Dopo un’ora o due di lavoro mattutino, alla spicciolata, a gruppi, tutti forniti di ottimo appetito, accorriamo al refettorio, ove si prende caffè e latte – un po’ lungo, ma abbondante – con polenta arrostita e con pane di segale. Torniamo al lavoro verso il mezzogiorno; a quell’ora altra visita al refettorio per il minestrone – anche questo poco saporito ma abbondante – e poi ci prendiamo un paio di ore di riposo, tanto da fare il chilo e da fumare una sigaretta. . Torniamo poi al lavoro fino al tramontare del sole, e la nostra cena consiste in polenta con insalata, con legumi, e qualche rara volta con ragù di pollastro o di carne suina. […] ; 2)   Le donne, che per l’arretrato sviluppo intellettuale sono energicamente conservatrici e poco accessibili agli ideali di rinnovamento umano, in generale rappresentano nella Cecilia l’egoismo domestico. Installate nella cucina e nel magazzino, hanno sempre fatto a gara nel profittare della cosa comune. Le donne tra loro parenti hanno cercato di monopolizzare le povere cose, delle quali potevano disporre. Hanno visto di mal animo l’arrivo di nuove persone che sembrava loro  venissero a diminuire i pochi mezzi di  esistenza. Ed hanno accolto le nuove compagne con freddezza, prodigando loro sgarbi di ogni modo. Queste maltrattate, hanno portato nelle loro famiglie i loro risentimenti, ed hanno così indispettito i  rispettivi mariti. Quando poi sono riuscite a ribellarsi e ad abbattere la vecchia oligarchia, allora il malcontento è passato nelle famiglie del ministero caduto. Nel seno della parentela ordinariamente  si tollerano i difetti, che, viceversa si biasimano acerbamente negli altri.  Chi ha una famiglia intorno a sé, teme tanto la povertà da rendersi importuno agli altri,  che sempre gli pare non producano abbastanza o troppo consumino.  […”] Il celibato casto è un’aberrazione fisiologica e morale; eppure comunisticamente   val meglio della famiglia. Anche nella Colonia Cecilia, quasi tutte le difficoltà di ordine interno, provengono dall’egoismo di famiglia, e devono scomparire  col libero amore. […] In un caso o nell’altro, come i rapporti economici furono la questione del secolo XIX, così i rapporti affettivi saranno forse la questione del XX secolo.” 
 Bibliografia :in Cittadella e Cecilia. Due esperimenti di colonia agricola socialista.  , opera citata primo brano a pp.  86-87 e secondo brano a p. 88
Da questa, sebbene  sommaria,  descrizione  della condizione femminile nella  Colonia Cecilia  giustamente  Elena Bignami nel suo saggio “ Emigrazione femminile in Brasile. Tra lavoro e anarchia rileva come  , al suo interno, fosse  sostanzialmente  conservato “ il principio gerarchico della distribuzione dei ruoli su base sessuale” a beneficio  del  sesso maschile.  (cfr. brano)
 Brano da commentare:  …” Emerge così una società che se da un lato, quello lavorativo, esalta e persino appesantisce i compiti femminili, dall’altro quello della sfera decisionale e sociale, è fortemente discriminatoria, suddivisa com’era tra uomini come soggetto attivo e donne come soggetto passivo – compagne da amare, oggetto del desiderio maschile e della nefasta gelosia., nonostante tuttewle buone ma sin troppo teoriche intenzioni del pensiero libertario. […] Lo status sociale della donna, dunque, non mutava una volta che questa faceva ingresso nella  Colonia, i suoi ruoli rimanevano gli stessi che essa ricopriva prima di entrarvi, lo stesso dicasi per gli spazi ad essa deputati, installata com’era “nella cucina e nel magazzino” ed esclusa dalla vita decisionale, probabilmente persino dal voto  per i “referendum” che la comunità teneva alla  “Casa do amor” per deliberare sulle decisioni. Su tutto prevale la sopravvivenza della comunità e dei suoi veri protagonisti, gli uomini, di cui le donne appaiono più come domestiche o trastullo che come vere compagne di vita”. ( Elena Bignami, Emigrazione femminile in Brasile….. )
Bibliografia:  Elena Bignami  Emigrazione femminile in Brasile. Tra lavoro e anarchia in http:/storicamente.org/emigrazione-femminile-in- brasile
 Bisogna comunque dire che Giovanni Rossi in  Paranà , scritto nel 1895, mostra, a mio parere,  una maggiore  , relativamente a quell’epoca, sensibilità, seppure ancora solo teorica,  nei confronti della  questione femminile.  In  un contesto utopistico  Giovanni Rossi  immaginava di discutere, durante una seduta spiritica, con un defunto, il professore di scienze Grillo, che gli rivelava  i futuri progressi sociali  che si sarebbero realizzati nel 1950. ( cfr. brano)
Brano da commentare:  … [Rossi]”  C’ è ancora una domanda che mi preme , caro Grillo, e questa forse più delle altre. Io vivo in una società, e tu stesso vi hai non molto tempo fa vissuto, dove oltre allo sfruttamernto economico, al quale il lavoratore è sottoposto dalla minoranza capitalistica, vi è la schiavitù morale e psichica delle donne e dei bambini, cioè la schiavitù da parte degli uomini, siano essi borghesi o proletari, siano essi padri, mariti, fratelli, i quali tutti, nell’intimo della casa sono come dei piccoli tiranni in castelli medioevali. Dimmi , caro Grillo, risuonano dall’orchestra dell’anno 1950 ancora la stessa musica” . [ Grillo] “ Oh, no! I suonatori sono cambiati e anche i suoni. Ma è stata necessaria una lunga serie di lotte, per distruggere quella convinzione di superiorità, di tutela e di disgraziato dominio che il secolare esercizio del monopolio aveva sviluppato nell’uomo. Ai tuoi tempi la donna non supponeva nemmeno lontanamente quali vantaggi   materiali e morali la sua completa emancipazione le avrebbe portato. Essa era ancora l’affascinante creatura infantile di tutte le epoche storiche e si lasciava convincere facilmente ad essere già classificata. Cioè: o la macchina del piacere – provvisoria o definitiva – nelle braccia del cavaliere di ventura, del compagno o del marito; il premio veniva concesso proporzionalmente alla fortuna e alla ricchezza del  proprietario. Oppure animale da soma, nelle officine, nei campi, nella cucina, al mastello per lavare, tra uno sciame di bambini, senza però sottrarsi al compito di macchina del piacere sovraccarica, e tutto questo senza vantaggi. Oppure come bambolina di buona famiglia, come povera vittima dell’onore di ceto”  “ Falla breve, Grillo, Tutto questo lo so anch’io, e allora? “ “ Allora la donna dovette autonomamente giudicare per proprio conto e nel proprio interesse, autonomamente volere e combattere. Le ragazze si riversarono nei gruppi di produzione e attraverso la loro intelligenza, il loro lavoro, si resero indispensabili. Esse erano lavoratrici, perciò avevano il diritto, come gli altri, alla vita e alla libertà. Esse incominciarono ad uscire dalle famiglie e a rendersi indipendenti. Alcuni gruppi di produzione si rifiutarono di fornire loro alloggio e mezzi di sussistenza. Allora incominciarono gli scioperi femminili e i boicottaggi. Alla fine vinsero le ragazze. E allora  incominciarono a rifiutarsi di vivere insieme a quel compagno che si vantava in un modo o nell’altro di un certo diritto di supremazia. “ In casa mia sono padrona e ricevo chi voglio”, fu il grido di battaglia. Da parte maschile  si scatenò una tempesta di proteste e di condanne morali. Ma le donne rimasero imperturbabili e alla fine risultarono vittoriose. Oggi la donna senza estraniarsi dall’ambiente sociale delle scuole, delle fabbriche, dei ristoranti, dei saloni, ha la propria casa, è l’assoluta padrona dei propri pensieri, dei propri sentimenti e del proprio corpo”. ….. ( Giovanni Rossi, Paranà (1895)
Bibliografia :  in Rosellina Gosi, Il socialismo utopistico. Giovanni Rossie la colonia anarchica Cecilia,  Moizzi Editore, pp. 168-169
Rossi , dopo un periodo di tempo passato in Brasile, tornò in Italia nel 1907 e continuò a interessarsi di agricoltura sperimentale. In piena era fascista non ebbe timore, sebbene vecchio, di partecipare al funerale di un  noto oppositore del regime, ucciso dai fascisti.
Nota: Il progetto della Colonia Cecilia fu, sin da subito, ancor prima della partenza per il Brasile, fortemente criticata, da un punto di vista rivoluzionario, da diversi anarchici tra cui Errico Malatesta. (cfr. brano)

Brano da commentare: “ … In quanto poi all’impresa del Rossi io la deploro. Essa produce tra noi, in più piccola scala per fortuna, il danno che ha prodotto il parlamentarismo poiché offre agli oppressi una vana speranza di emanciparsi senza bisogno della rivoluzione … In ogni modo se il Rossi vuol fare l’esperimento, lo faccia pure; ma lasci stare i rivoluzionari; e raccolga dei poveri lavoratori, cui non è ancora giunto il verbo redentore del socialismo. Preferisca anzi , come Robert Owen, i più degradati, i più abbrutiti, e faccia il nobile tentativo di elevarli a dignità umana …. Vada pure il Rossi al Brasile a ripetere tardivamente, quando già il problema sociale è fatto gigante e reclama urgente e generale soluzione, gli esperimenti da dilettante, con cui i precursori del soicialismo riempirono la prima metà di questo secolo. I rivoluzionari restino al loro posto di battaglia. Quando la fame piglia alla gola il proletariato, e la rivoluzione si presenta come dilemma di vita o di morte innanzi all’umanità, ritirare la sua posta dal giuoco è cosa da pusillanime. A me pare che oggi chi parte, diserta  innanzi al nemico, al momento della mischia”  ( Errico Malatesta, in La rivendicazione  , Forlì 21-2-1981)
Bibliografia :in Cittadella e Cecilia. Due esperimenti di colonia agricola socialista.  , opera citata p. 98
L' "AMOUR PLUREL" NELLA COLONIA DI BASCON
Essa ebbe comunque, già tra la fine del XIX secolo e l'inizio del XX,anche se con alcune varianti,( in particolare proprio per il ruolo delle donne  all'interno delle comunità),  parecchi imitatori  e imitatrici in Francia, in Inghilterra, in America, Svizzera, Belgio  (cfr. in particolare i post LES MILIEUX LIBRES 1 e 2  e  NEW LIFE).  A partire dagli anni settanta, inoltre, La Colonia Cecilia , nonostante alcune contraddizioni rilevate già dallo stesso Giovanni Rossi, è stata generalmente rivalutata come primo esempio di vita comunitaria anarchica. (cfr. brano)

 Brano da commentare : “ La Cecilia, questa comunità d’origine italiana, può essere considerata come la prima esperienza libertaria ed essa indica una certa continuità tra le esperienze socialiste e i primi “ milieux libres” in Francia. Essa fu fondata nel 1890 in Brasile  su impulso di Giovanni Rossi. La  Révolte pubblicò a più riprese lettere e comunicazioni emanate da questa nuova esperienza di “ dimostrazione pratica “ delle idee anarchiche. Per Max Nettlau, la Cecilia resta nel 1897 il “tentativo più serio di realizzazione delle idee anarchiche”. E’ impossibile di non sottolineare a qual punto  la leggenda si impadronì di questa esperienza, al punto di  colpire  l’immaginazione fino a tempi più recenti: il film di Jean- Pierre  Comolli  né rintracciò la storia negli anni 1970, realizzazione ampiamente legata all’ attrazione ( engouement) per la vita comunitaria. “ ( Celine Beaudet, Le milieux libres. Vivre en anarchiste à la  Belle-Epoque en France)
Bibliografia:  Celine Beaudet, Le milieux libres. Vivre en anarchiste à la  Belle-Epoque en France,  Les Editions Libertaires, 2006 pp. 28-29  (traduzione italiana mia) . Purtroppo il film La Colonia Cecilia di  Jean-Pierre Comolli  (1975 )  con Massimo Foschi, Maria Carta, Vittorio Mezzogiorno ed altri non l’ho visto. Spero un giorno di vederlo.
 




       
 
 
 

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